venerdì 9 dicembre 2016

Ij teng 'o mare

Chi tene 'o mare,
s'accorge 'e tutt chell' ca succere.
Po' sta luntano

e te fa sentì
comm coce...




Chi tene 'o mare,
'o ssaje,
porta 'na croce.


Chi tene 'o mare
cammina ca 'a vocca salata...



Chi tene 'o mare
o 'ssape ca
è fess e cuntento...




Chi tene 'o mare
'o ssaje
nun tene niente...




(Chi tene 'o mare - Pino Daniele)

giovedì 22 settembre 2016

Dio salvi la Reggina

Partivamo di prima mattina, di domenica, quando l'aria ha quel sapore di vaniglia e le uniche auto che incroci sono quelle di chi torna dalla discoteca con la camicia bianca sudata e strappata. Montegiordano, Roseto, Trebisacce, mentre si facevano le 9 e il sole non dava piú fastidio agli occhi. Sibari, Spezzano, l'autostrada, la sosta all'autogrill e i palazzoni di quella Cosenza che mi sembrava chissá che metropoli, poi lo slalom fino al mare che spuntava all'improvviso poco dopo San Mango, Lamezia, Pizzo e quel ponte in curva a strapiombo sul mare, le due ferrovie che poco prima quasi si incrociano, il porto di Vibo e poi le colline fino a Rosarno, gli agrumeti, la vibrazione interiore della distanza che si affievolisce. L'uscita di Palmi, l'indicazione per Seminara, le nostre radici che cercano di fare presa nel paesino che sorvoliamo con l'autostrada poco dopo, e poi lo Sfalassà, e il Pilone, la Sicilia e, un attimo sotto, Villa. L'uscita a Gallico, in piazza Posta per andare a pranzo 'ddu u ziu Gilbertu, dai cugini Nino, Giusy e Sara, magari ci sono pure le zie, alias i' signurini (se mi leggete ogni tanto capirete).
"Belardi e Bonazzoli". Rispondevo cosí, in ordine di importanza, quando mi chiedevano chi fossero i miei preferiti. Poi Tedesco, i due Ciccio, Cozza e Modesto (che, anni dopo, mi regalerá la gioia calcistica piú grande), Mozart e Paredes, piú avanti Biondini e Missiroli.
All'una e mezza andavamo via, "Dio salvi la Reggina" esclamava sorridente zio, sfruttando la mia scarsa resistenza al ridere ai piú scontati dei giochi di parole, mentre ci accompagnava al cancello di casa.
Del pezzo di autostrada tra Gallico e Reggio ricordo la Panda cabriolet con una enorme bandiera amaranto che usciva fuori dal tettuccio, l'Ape con due persone con la maglia di Nakamura sul cassone, le buche, il profumo di mare, l'imponenza dell'Etna li in fondo, la misteriositá della Sicilia li accanto.

La curva Sud in un Reggina-Roma - foto dal web
Sfilavamo per il lungomare, poi per qualche centinaio di metri lungo l'argine del Calopinace, quindi a destra sul lungo viale che porta all'aeroporto, trovando sempre posto in un enorme piazzale di fronte ad un palasport. Si vedeva giá la copertura della tribuna centrale svettare sopra le case, ed un primo brivido scendeva giú per la schiena. Un brivido, a me che da piccolo il calcio manco piaceva, io che lo consideravo uno sport come gli altri. Consideravo, appunto.
Le bancarelle, l'odore melmoso dei paninari, "dduj sciarpi deci euru", la via che portava allo stadio piena zeppa di gente, "papà i biglietti li hai?", l'ombra di dubbio, il sole dell'entusiasmo.
Arrivavamo nel piazzale e gli angoli non coperti dalle tribune lasciavano passare suoni e colori che ti attraevano come una calamita, ti mettevano una fretta cagna, 'iamu, trasimu. A volte andando verso gli ingressi incrociavamo i due bus di Tripodi che portavano le squadre, fermandoci in attesa che scendessero i giocatori, quegli esseri sovrumani che sembrava esistessero solo in televisione. Ricordo i gemelli Filippini che mi passarono a pochi metri, lo sguardo da ebete di Nakamura e quello manesco di Soviero, Mazzarri ca on sapiva mancu cu era, il sigaro consumato di Lillo Foti, Luciano Zauri di cui avevo mille figurine.

Shunsuke Nakamura
Ed una volta passati i cancelli (i tornelli erano robe da aeroporto ancora) e salite le scale, il campo, il campo e quell'aria tesa di incertezza che lo ricopriva. Prendevamo posto in tribuna, anzi una volta in curva, due nei distinti (Juve 2004 e, soprattutto, quell'indimenticabile 27 Maggio 2007 contro il Milan), seguivamo il riscaldamento cercando di capire chi dei nostri avrebbe giocato o di riconoscere al volo i campioni della squadra avversaria. E a pensarci...Ibrahimovic, Del Piero, Cafu, Ronaldo, Gattuso, forse pure Rivaldo, Cannavaro, Zanetti, tutti li su quel campo che sembrava dovesse ospitarli in eterno. 
Lo racconterò a mio figlio, semmai un giorno dovesse interessargli, che suo padre, ancor prima di perdere testa e voce per quel gol di Budimir a San Siro, ha visto Ronaldo giocare a Reggio Calabria, col mare dello Stretto di sfondo. Si, quel Ronaldo, quello li, forse il piú forte di tutti, lo ha visto con i suoi occhi fare un doppio passo su Aronica e scappare sulla fascia destra, anche quando ormai era solo una brutta e riccioluta copia dell'originale.

Salvatore Aronica, Ronaldo e Andrea Campagnolo in Reggina-Milan - Foto dal web
Juri Cannarsa osserva Zlatan Ibrahimovic in rovesciata durante un Reggina-Juventus - Foto dal web
Sono passati nove anni da quella partita, ci sono voluti un incrocio ed una strada sbagliata per riportarmi davanti a quello stadio, per riportarmi davanti agli occhi alcuni di quei momenti che il tempo non è riuscito e non riuscirá a cancellare, per riportarmi davanti al cuore la nostalgia di quell'aurea magica che copriva quelle quattro tribune strette tra il mare e l'Aspromonte. 
Non ho potuto fare a meno di accostare e scendere. Lo stadio quella mattina era aperto, la Reggina appena tornata tra i professionisti si stava allenando sotto un sole cocente. Sarei entrato volentieri, anche solo per sedermi cinque minuti su quella tribuna, ma senza tempo a disposizione, giá appoggiare le mani a quelle inferriate rese fresche dall'ombra dei salici è stata una bella riconciliazione.

Il Granillo, quella mattina di settembre..
Ma tutto questo è passato, tutto questo è nostalgia, bellissima nostalgia.
E ora?
E ora...
tan tata tananana tan tata tanana tan tata tananana tan tata...o meglio: 


mercoledì 14 settembre 2016

Vos et ipsam civitatem benedicimus

U vulissa capire nu sicilianu quannu 'nchiana supra u ponti, s'assitta, u ventu 'nci sparpaglìa i capiddi, u sali 'nci 'mpacchia, l'adduri d'a nafta ca saglia 'ppi tuttu u traghettu.

U vulissa vidiri pi intra, quannu chiudunu 'a celata e u traghettu comincia a ssi moviri, quannu Messina passa davanti all'occhi, lenta, comu quannu ti strappi i pili d'u vrazzu cu nu cerottu e u tiri chianu chianu, tantu chianu ca u duluri u senti parti pi parti, vota pe vota, pilu ppi pilu.

Ti vulissa vidiri, anzi ti vitti, cumpari sicilianu, quannu passi 'a Madonnina e trasi pe mmari.
"Vos et ipsam civitatem benedicimus", pi ttia cchi rappresenta? Pi ttia ca, cu na manu subba a balaustra, ripeti in silenzio chiri paroli mentri na goccia d'acqua ti scinna i l'occhi e si jetta a mari.

Cumpari sicilianu, amicu meu, ma iu sulu stràmmu a vidiri chira madonnina? Cumpà, ma com'è sapiri ca chira statua, e sulu chira statua, e sulu chiru mari, chiru pezzareddru i mari, ti dicia ca a terra tò finiscia? Ca subba a spiaggia ca vidi ddrocu avanti, a Villa, sì già nu foresteru?
Cioè, 'on ti pò capitari com'e mmia i essiri distrattu e 'on vidiri o cartellu a Nova Siri, fine Calabria inizio Basilicata, o non ti po' capitari ca è scuru e, da che partisti co' trenu da Scalea ti trovi a na vota a Sapri. Ecco, compà, 'on poi dire "Ormai siamo passati", 'on poi tirarti a' ceretta ccussì, zac, tutta a na vota, tu te l'ha soffriri a forza chiru confini, chiru mari e chiru ventu t'annu accultellari a forza. O dicu strunzati?


Vos et ipsam migrantium benedicimus.


martedì 12 luglio 2016

Blocco telefonico

Che la ferrovia rappresenti, per molti versi, una metafora della vita ne sono sempre stato convinto. Ne ho sempre letto così i suoi colori, le sue forme, le diramazioni e le scalate impossibili sui costoni delle montagne, le sue simmetrie e le sue geometrie.
La ferrovia è un mondo a se stante, oltre la linea gialla sono altre le regole da rispettare, altre le direzioni in cui guardare, altri i limiti da osservare.
E l'uomo, in ferrovia, è un limite. Sì, il suo stesso creatore è il limite della ferrovia, è la fragilità umana uno dei pericoli maggiori che corrono sui binari.
Penso ai due rettilinei che spaccano in due quel territorio disseminato di ulivi, ai muretti a secco che dividono la ferrovia dai terreni circostanti, alle cicale che cantano al sole bollente di un martedì di luglio, alla terra arsa, al suo odore secco, al miraggio dell'ombra.
Penso alle vibrazioni dei binari col treno che si avvicina, a quel millepiedi che scappa sul pietrisco, ai fili della catenaria che sbattono tra loro ed al loro rumore riecheggiare tra gli ulivi.
Penso ai due macchinisti, ai colleghi, ai loro nomi che non conosco ed allo stesso tempo al naturale bisogno di dargli del tu. Ci penso, penso ai camion che mi si sono piantati davanti all'interno dell'interporto, penso a quella volta in cui venimmo mandati per errore contro un altro treno e ci fermammo a soli 30 metri da loro, penso a quello scambio girato verso un binario mezzo smontato, penso alla frenata istintiva quando ti sembra di andare contro il treno che hai davanti.
Penso a loro due, a cosa avranno pensato quando si sono resi conto di cosa stesse accadendo. Penso e mi vengono i brividi, penso e non riesco a smettere, penso a quanto sia stato tutto così semplice, immediato, a quanto sia bastata una cazzata -a sapere quale- per fare quella fine lì.
E poi penso al fragore, alla botta vera e propria, alla polvere. E alle cicale che tornano a cantare, e al caldo infernale, e agli sciacalli che accorrono in processione tra quelle ulivare.
"Binario unico assassino", "I treni del sud vecchi di 60 anni", "Ben 70 morti negli ultimi 15 anni".
E ti sale l'embolo, e ti verrebbe da telefonare in diretta e dire che 70 morti li fanno le strade in un weekend solo, e ti verrebbe da dire che Ferrotramviaria è una delle società regionali più innovative in Italia, e ti verrebbe da chiedere a quello lì che se la prende con la Fornero se ha capito di cosa stiamo parlando, e ti verrebbe da dire che...ma che cazzo dovete dire e stradire, sono morte 20 persone, e forse qualcuno se ne sta pian piano dimenticando.

Vi abbraccio, tutti. Non è giusto.


domenica 22 maggio 2016

La passeggiata a Capocolonna

Setole di un pennellino che accarezzano pietre dal profilo irregolare alzano un leggero velo di sabbia e terriccio, entrambi impregnati di salsedine. Sole, sole cocente attenuato da un vento che spinge da ovest, il rumore metallico delle transenne che con quel vento si sfiorano, lo svolazzare delle bandierine rosse e blu e del nastro biancorosso che impedisce l'accesso alla torre.
Oltre c'è il mare, una nave che viaggia verso sud, con la chiglia poco sotto la linea dell'orizzonte. Dovrà pur finire da qualche parte, il mare. Ci saranno un tot di metri cubi di mare al mondo, o no?
Lasciate perdere, non contateli, lasciate il mondo come sta. Altrimenti che infinito sarebbe, quello che si staglia dietro quella linea dell'orizzonte?



L'intonaco bianco della chiesetta riflette come un faro la luce del sole, la sua semplice eleganza risplende sotto un cielo privo di nuvole. Alla sua sinistra la vista parte da Crotone e si ferma a Punta Alice, si distinguono bene anche Strongoli, Belvedere, la gola di Timpa del Salto attraversata dalla statale per Cosenza.
E poi il cubo bianco della Gres, i buchi neri dei pannelli della sua copertura che sono volati chissà dove, le trivelle dei giacimenti di metano, la gru gialla del porto nuovo, il fumaiolo della Pertusola subito dietro la città. 
La Pertusola, il mostro che pian piano sta scomparendo tra pale meccaniche e cariche di dinamite, il vuoto che sta lasciando nell'orizzonte, il vuoto che ha già lasciato nella vita di centinaia di esseri umani. E quel fumaiolo ancora in piedi, come un aguzzino che tiene il mitra puntato sulla testa del suo ostaggio.
Alla base di questa vista, come fosse a piè di pagina, due archeologi lavorano agli scavi di Kroton, sotto un sole cocente con due pennellini, una paletta e tre quaderni. Pennellata, appunto sul quaderno, pennellata, altro appunto, come se le pietre gli stessero parlando, come le nonne che raccontano i fattareddri ai nipoti.

E, con i gomiti poggiati alle transenne impolverate, provi un po' a vedere che effetto fa unire tutta Crotone, o tutto ciò che per te è Crotone, in un solo fotogramma.
Clic.



Quella passeggiata a Capocolonna è diventata come un talismano da quando non vivo più in Calabria. 
La lontananza ti regala anche questo, appuntamenti da prendere con te stesso ogni volta che torni a casa, momenti irrinunciabili in cui fare il punto della situazione, isolare e isolarsi, riavvolgere il nastro e vedere se la musica che hai registrato è uscita bene.
E' un po' come entrare in un confessionale, nell'unico confessionale in cui sei sicuro di essere completamente sincero, in quel confessionale dove anche mentire è utile a capire tante cose.

Quella passeggiata a Capocolonna ha acquisito il sapore amaro del portare i fiori al capezzale di un malato terminale, il sapore amaro dell'irreversibilità, dell'impotenza di fronte al tempo che passa, al tempo che facciamo passare, al nastro che, una volta scritto, non puoi cancellare più. Ed il rumore delle suole sul porfido ad ogni passo lo sento il doppio, la polvere che si solleva penetra dentro ed annebbia tutto, getta confusione su confusione, mischia quei nastri così tanto che, alla fine, non riesco manco più a leggerli.

Cos'è stato? E' stato che ora 1200 chilometri ci separano, sono tantissimi, e lo sai anche tu. Sai anche che per amor tuo non si vive, sai che amarti è facile solo quando si è lontani, che sei incorreggibile, e che io sono troppo moscio e cretino per permettermi il lusso di pensare di poter fare qualcosa per te.
So solo che probabilmente passerò i miei giorni col peso di tutte le storie che ci siamo raccontati e che con te, sulle tue strade, da Las Vegas al lungomare, dalla discesa San Leonardo a Poggioverde, ho costruito.

E' ora di andare, u 'nnu sacciu quannu scinnu, tantu u sà ca na passijata m'a fazzu.
Clic.


domenica 7 febbraio 2016

Sant'Elia

Sant’Elia passava i so’ jurnati inta ‘na capanna subba ra montagna ca domina Palmi. Campava contento d’i preghieri a nostru Signuri, e u Signuri u ringraziava donandoci l’acqua, i frutti, e chiru mari randi, bellu, ca i undi si girava e si votava ce l’avia davanti all’occhi.
Nu jornu, i ru sentieru ca portava a Barritteri, ci parvi i vidiri na figura strana, nìgura, cu nu saccu grossu e pesanti ‘nti mani, ca quasi quasi ‘un c’ha faciva a ru portari.
“Sant’Elì, buongiorno”
“Cu siti?”
“U diavulu”
“Ah, u diavulu…e chi voliti?”
Sant’Elia aru Diavulu ‘nci fici ‘mpressioni, a chiru esseri immondu ‘un c’era mai capitatu unu ca u’ssi spagnava d’a sua voci, d’a so’ figura, figurati unu cumu a Sant’Elia ca ‘on si riggiva mancu subba i so’ gambi tantu era gracilino.
“Aju truvatu ‘sti denari ‘nta nu casulari d’i parti i Seminara, e cu ‘sti denari mi vulia fari nu monasteru, nu monasteru ‘ppi mmia, ‘cca adduvi siti vui.”
“Ccà? Ccà ci sugnu sulu ieu, chi ‘ndaviti a fari ‘cca?”
U diavulu iaprì chiru saccu, e solo iaprendulu ci cattaru cinqu monete tantu era ‘cchinu. Sant’Elia i ‘vardau, pigghiau ru saccu e ru jettau tuttu pe ssutta a’ muntagna, cu ri monete ca manu a manu diventavano pezzi i carbuni.
“Cu vvuj ‘un ci vogghiu aviri nenti a cchi fari. Iativinni.”
U diavulu strambò, pigghiau ru saccu menzu vuoto e si ‘ndi jiu, ma sulu per nu jornu. Comu u putiva convinciri a Sant’Elia mi ‘nci lassa ra muntagna p’u so’ munasteru?
U jornu appressu si presentau.
“Tornasti? ‘On t’a dugnu a’ montagna”
“Pari ca teni fame. Càlati ‘ncuna cosa”
U diavulu ‘nci fici truvari na tavola imbandita con ogni ben di Dio, cacio, vinu, olive, persinu nu paru i cannoli pigghiati a Cefalù.
“Mangiatilli tu, ca ti viu n’antìa sciupatu” nci risposi Sant’Elia.
U diavulu, esasperato, si ‘ndi tornò arretu, ma arrivatu a Solano ‘nci vinni in mente n’idea:
“L’omu poti resistiri a dui cannoli, ma a ‘na bella figghiola ‘nzammà!”
U diavulu si trasformau inta ‘na figghiola bellissima, janca e splendente comu a’ luci d’u suli a menzujornu, sulu l’occhi ‘on riuscì a cangiari.
Si presentau poco dopo aru Santu, assittatu subba ‘nu scogliu a lejiri a Bibbia.
“Sant’Elì, vi pozzu disturbari?” ‘nci chiesi a’ signorina.
“Dicitimi”
“Pozzu farvi compagnia?”
Sant’Elia fici pi ss’avvicinari ara figghiola, quannu vitti nu focu ‘nta l’occhi so’. Capì ca ru diavulu era turnatu, ed essendosi scasciato bellamente i cugghiuni i tutta st’insistenza ‘nci jettau nu scaffu talmente forte ca ‘nci mancau pocu mi finiva ‘ntu mari. E mentri ‘nci jettava ‘ncoddu tutti ri pietre ca ‘na vota erano i so’ denari, ‘nci gridava:
“Vattini, vattinni d’a casa mia, vattinni i ‘sta terra. Lassala stari, lassala stari Palmi mia, lassa stari tutta sta terra ca vidi i’ sta muntagna, lassa stari Nicotera, Taurianova e Milazzo, vattinni fora da stu munnu, malidittu a ttia!”
U diavulu, ca si scantau forte i chiru piccolo santu, trovau ‘na roccia ca cadìa dritta ‘nto mari, zumpau lassannu subba a roccia ru signu ri so' zampi e, spiegando i so’ ali di pipistrello, fujìu via, lontano da lì, jettandusi drittu drittu ‘nta na piccola isola, Stromboli, i undi ‘un niscìu cchiù nenti se non u so’ focu e ru fumu r’a so pipa, consumata pensannu a chiru santareddu gracile gracile ca l'avìa sconfittu.


Panoramica dal monte Sant'Elia a Palmi (RC), in basso a sinistra il punto dove si trova realmente la Pietra del Diavolo, il macigno dove sono rimaste impresse le orme del diavolo raccontate dalla leggenda liberamente interpretata qui sopra.
Sullo sfondo Scilla, lo Stretto ed i monti Peloritani

sabato 12 dicembre 2015

Ha segnato Budimir

Venerdì 14 Agosto, a Piacenza fa caldo, caldissimo. I climatizzatori vanno a manetta, le scarpe antinfortunistiche in mezzo a pietre e rotaie sono una condanna, la gente per prendere un po' di fresco si tuffa nel Trebbia e nei centri commerciali, la scorta di Brasilena appena salita da giù è già agli sgoccioli.
Quel 14 agosto, 1200 chilometri più a sud, Crotone e Ternana si scontrano in Coppa Italia. E' la prima partita senza Antonio Galardo, il capitano, il nostro capitano, una delle ultime vere bandiere rimaste a solcare i campi di calcio italiani, che dopo la vittoria col Feralpi Salò ha deciso di smetterla con prati e scarpette chiodate. C'è una leggera sensazione di vuoto e malinconia nel leggere la formazione e non trovare il numero 4 e il simbolino della fascia di capitano accanto, la netta sensazione di un'epoca che si chiude.
Nelle due metà campo le maglie di due città, le mie due città, che hanno tanto in comune, tanto da raccontarsi, tanto da dire e tanto da piangere su capannoni e ciminiere. Una partita con due squadre che sono ancora in costruzione, Juric lo conosciamo solo piazzato lì a combattere a centrocampo con addosso la sua maglia numero 28, ma da allenatore non sembra convincere fin da subito.
Se davvero tutto è bene quel che finisce bene, segna Claiton e morta lì, Crotone 1-0 Ternana.

Claiton dopo il gol dell'1-0 alla Ternana. Foto Pipita (fotopipita.it)
Il Crotone passa il turno nel caldo di ferragosto, mi vibra il telefono con la notifica della fine dell'incontro, mi passa sotto gli occhi con sottile indifferenza.
Dopo un po', leggo in giro una frase ricorrente, troppo ricorrente: "Andiamo a Milano", "Tutti a San Siro". Ma che state dicendo? 
U Cutron a San Siro? 
Daver?
Daver. O meglio quasi, perchè tre giorni dopo, lunedì 17, a San Siro si gioca Milan-Perugia, e chi vince ci ospiterà a dicembre ai sedicesimi di finale. E' la volta buona che tifo Milan (c'è sempre una prima, vergognosissima, volta...), e infatti i rossoneri non deludono, battendo i grifoni per 2 a 0 grazie a Honda e Luis Adriano.
E così, finalmente, nel tabellone di Coppa Italia si realizza quella che sembrava una visione, una chimera, qualcosa che fino a prima potevi vedere solo a FIFA o a PES, una di quelle cose traducibili insomma in un sonoro "Earamadò!": Martedì 1 Dicembre 2015, Milan-Crotone, Stadio San Siro.

Nel frattempo la squadra prende forma e si perfeziona: arriva Ciccio Modesto, che a Crotone è nato ed ha girato mezza serie A, centrando da protagonista l'eroica salvezza con la Reggina nella stagione 2006/2007. Come ogni anno, buona parte della rosa si compone di un manipolo di giovani in prestito, provenienti dai più disparati settori giovanili delle "grandi": Yao, Capezzi, Ricci, Tounkara.
E i dubbi su Juric svaniscono presto: la squadra gioca bene, tremendamente bene, si piazza nella parte alta della classifica e da lì non scende più: di giornata in giornata Crotone e Cagliari si alternano in testa alla classifica, Bari, Novara e il Cesena dell'indimenticato mister Drago inseguono subito dietro affacciandosi ogni tanto sui due gradini più alti del podio. Dopo il pareggio di Perugia arrivano gli schiaffi a Bari (4-1), Salernitana (4-0) e Livorno (3-0), i pareggi di Vicenza e Lanciano, il passo falso a Pescara (4-1 per gli adriatici). 
La squadra c'è, la città torna ad affezionarsi agli Squali (perchè solo quando si vince?), e vedere Crotone lì sopra è strano quanto bello, veramente bello, da farti camminare col sorriso a 32 denti.
Arriviamo al 27 Novembre, Spezia-Crotone 0-1, anche al Picco gli squali fanno terra bruciata. Il Crotone è secondo in classifica ad un punto dal Cagliari, ma per una volta il campionato passa in secondo piano: a' capa sta a San Siro.

Martedì 1 Dicembre, a Piacenza fa freddo, freddissimo. I termosifoni cominciano a svolgere il loro lavoro, il garage della casa nuova evita di dover scendere venti minuti prima di casa quando si monta di servizio la mattina presto per raschiare il ghiaccio dai vetri della Punto, i primi pandori compaiono sugli scaffali dell'Ipercoop. Una mattinata tranquilla, almeno a Piacenza. Perchè a Milano, nella "gran Milan", si era riversata mezza Crotone: in piazza Duomo a centinaia, anche il presidente Vrenna e il capitano Galardo, in una giornata in cui a farla da padrone è stato il senso di appartenenza, la crotonesità, l'orgoglio delle proprie radici.



Partiamo, ci impieghiamo meno tempo per arrivare da Piacenza a Milano che per muoverci dentro la metropoli, sbisciando in viale Zara sul filo dell'ora di punta. A San Siro non sono mai stato, a malapena riesco ad individuare in che zona di Milano si trovi. Ad ogni bivio è una lotta per leggere i cartelli stradali e prendere la strada giusta, il tutto in quel traffico caotico, tra tram e Mercedes blu che scappano via come gatti indiavolati non centrando il tuo paraurti solo per intercessione divina.
Piazzale Lotto, svolta a destra e prosegui dice il navigatore. Vabbò.
Ma che sono quelle luci?
Ma è lo stadio?
Earamadò...
Earamadò. Questo direte, con voce tremolante grazie al brivido che vi percorrerà la schiena, quando vedrete per la prima volta San Siro dal vivo. Perchè San Siro è uno di quei posti che non trasmettono altro che la loro grandezza, fisica e soprattutto storica, anzi, epica. San Siro è epico, checchè se ne dica.
Assimilata la botta per nulla indifferente della visione di San Siro, ritrovata quella leggera dose di lucidità e soprattutto un parcheggio, comincia la passeggiata verso i tornelli.
Ma abbiamo sbagliato stadio? Perchè sentire cantare sotto le torri di quello stadio "Oimà chi d'è ssu Cutrone" da migliaia di persone non è normale. E non è normale sentire accenti di Crotone, Cirò, Strongoli, Rocca di Neto, Petilia, persino San Giovanni o Cosenza. Ma tutti 'ccà simu? Persino nel settore arancio, la tribuna laterale per intenderci, dove mi aspettavo di trovare una buona fetta di tifo milanista, è strapieno di crotonesi.
Earamadò.

San Siro

Da fuori San Siro mette i brividi, da dentro invece toglie il fiato, ti regala quei 8-10 secondi di apnea in cui cerchi un attimo di renderti conto di cosa sta succedendo. E nei primi 3 secondi capisci che sei a San Siro, nei restanti 5-7 la mente ritorna allo Scida vuoto nella partita di C1 contro l'Arezzo, in una giornata gelida, passata con papà in tribuna assieme ad altre 100, forse meno, persone. Pensi a quelle due stagioni di C1 caratterizzate da vagonate di sofferenza, di angoscia, di uno stadio che non si riempiva neanche con i biglietti venduti ad un euro, della gente che fino a ieri non parlava di altro che del Crotone e che, adesso, sembrava quasi essersi dimenticata che solo un anno prima su quel campo dietro l'ospedale ci avevano giocato tali Nedved e Buffon, e che solo pochi mesi prima, con Gasperini in panchina, aveva sfiorato il sogno Serie A.
Ecco, pensi che tutte quelle persone che c'erano in quella freddissima Crotone-Arezzo adesso erano lì, a provare le stesse sensazioni.

"Nella buona e nella cattiva sorte"

San Siro si colora di rossoblu mentre le squadre cominciano a scaldarsi, Cordaz è il primo dei nostri ad entrare, il primo a farci alzare la voce.
Durante il riscaldamento la curva pitagorica si riempie, partono i primi cori per scaldare anima e voce mentre la tensione comincia a farsi sentire. Ci siamo. Noi, non i milanisti.
Quando le squadre riemergono dagli spogliatoi, il paragone sugli spalti è impari. Con tutte le attenuanti del caso per i tifosi del Milan, abituati a ben altri palcoscenici, la sensazione che emana la curva rossonera è la stessa di quel Crotone-Arezzo: un tifo presente solo quando comoda.
Poi ti giri verso la curva Nord, quella occupata dai tifosi crotonesi, e...
...earamadò.

A inizio partita: curva del Milan

A inizio partita: curva del Crotone

Calcio d'inizio. Il Milan sembra subito prendere il sopravvento, Honda si fa vedere sulla sinistra dando più di un grattacapi alla nostra difesa, reparto che tiene grazie al soldato Martella e Yao. Passa un quarto d'ora, il tempo di entrare in partita, ed il Crotone inizia ad essere più sfrontato, a non avere paura dell'avversario ed a farsi vedere avanti, con la palla che viaggia spesso e volentieri dalle parti di Palladino, tant'è che Torromino e De Giorgio sono i primi ad impaurire Abbiati, con due palle gol a breve distanza l'una dall'altra. Dopo mezz'ora Palladino, visibilmente fuori condizione, lascia il posto a Budimir, nel momento in cui il Milan comincia a prendere le misure e ad impensierire Cordaz, chiamato all'intervento in più di un occasione su Nocerino e Suso. Il primo tempo finisce 0-0 poco dopo un altro brivido firmato Budimir.
Si spezza così il ritmo di una partita vivace, bella da vedere, con un Milan dal quale affiorano evidenti errori di impostazione della partita, mentre il Crotone gioca, tiene palla, crea occasioni, ma non riesce a finalizzare come dovrebbe.

La partita ricomincia con un Milan che appare adesso più deciso, più ragionato, nel quale si vedono subito le strigliate sparate da Mihajlovic durante i 15 minuti di spogliatoio.
E infatti arriva il gol di Luiz Adriano dopo solo due minuti dall'inizio del secondo tempo. Ed è un po' una botta allo stomaco, aver preso gol in un momento in cui eravamo noi a fare il gioco. La paura di un calo psicologico mette in soggezione anche noi in tribuna: i cori si fanno più deboli e la tensione sale alle stelle. Che sia già finito il sogno?
Ma è il campanello di allarme che risveglia gli Squali, con una squadra che si allunga, tirando fuori dal cilindro una verve fortemente offensiva, creando numerose incursioni verso la porta di Abbiati, con Martella che di testa sfiora il pareggio. Il Crotone spinge, il Milan si chiude.
Poi al minuto 23 rimessa laterale di Balasha, prende e controlla Budimir, improvvisamente accellera verso la porta e punta Zapata, con De Sciglio che resta alle spalle inerme spettatore.
Zapata va convinto sul pallone, Budimir ci mette il piede, un guizzo e lo manda a vuoto.
Un altro tocco, entra in area di rigore.
Budimir contro Abbiati.
Sinistro di Budimir.
Budimir...

Earamadò.



Ha segnato Budimir.
Cosa mi ricorderò di quel momento? Nulla. Ricordo solo la voce che era andata via, l'abbraccio a Morena come ad altri due-tre spettatori a caso lì intorno a me, i pianti per l'emozione. Pazzia, pazzia pura.
Am signat' a San Siro, am signat' a San Siro compà!
Era già tanto, tantissimo, ma non abbastanza: quel gol è stato come gettare benzina, kerosene ed alcool su un fuoco che già divampava discretamente. "Vincere. Vincere", questo cantavamo a squarciagola. E poco dopo Budimir stava per metterla dentro, quella maledetta palla. Ci è mancato tanto così che passasse sotto e non sopra la traversa.
Da lì in poi, un Milan visibilmente nervoso e senza più molto da dire ha cominciato a giocare di rimessa, qualche infantile scorrettezza di Luiz Adriano sfuggita al direttore di gara, un rigore per noi che forse c'era, forse non c'era, ma che non ha risparmiato l'arbitro da una valanga di "a fiss i mammta", "oi mmerdu", "ten'i corna" provenienti da mezzo stadio. A sangue freddo, mi sento anche un po' in colpa..
Con le forze che iniziavano a scarseggiare, e Mihajlovic che nel frattempo tirava fuori l'artiglieria buona (leggi Bonaventura, Niang e Montolivo nei supplementari), la situazione cominciava pian piano a ribaltarsi, facendo venire fuori la netta differenza sul piano atletico tra le due squadre.
Nonostante tutto, dopo 3 minuti di recupero, Milan 1-1 Crotone.
Earamadò.
Durante la pausa prima dei supplementari il mio sguardo incrocia la Curva Sud, quella occupata dai milanisti...e dove sono? Dove sono finiti? Avranno mica pensato che la partita è finita lì?
Mihajlovic nel dopo partita, interrogato sulla defezione dei tifosi rossoneri alla fine dei tempi regolamentari, dirà che non se n'era nemmeno accorto. Viene da ridere, non so se per il serbo o per i tifosi.
Nei supplementari la differenza sul piano fisico comincia a farsi abissale, il Crotone comincia visibilmente a perdere di velocità e lucidità pur lottando fino allo stremo e contenendo il Milan per tutto il primo tempo supplementare, con Stoian che non fa mancare i brividi alla difesa casalinga.
Il secondo supplementare si apre in maniera chiara: fallo rossoblu al limite dell'area di rigore, Bonaventura disegna una punizione magistrale, Cordaz è immobile. Milan 2-1 Crotone.
Non smettiamo di cantare, ma sento che quelle mani battono ormai più per ringraziamento che per incitamento. Il 3 a 1 arriva a pochi minuti dalla fine grazie a Niang, completamente dimenticato dalla difesa pitagorica.
Però sapete cosa vi dico? Va bene così. Va bene così perchè fino al triplice fischio ho visto una squadra che ha lottato, finchè ha potuto e finchè ne ha avuto non ha mollato la presa. Testardi, testardissimi, come mai mi era capitato di vedere in una partita di calcio.
Ci alziamo in piedi ed applaudiamo finchè non escono tutti dal campo, è il minimo che si possa fare per questi ragazzi.
Finisce che non ho più voce, chiamo a casa per dire che a Milano il Crotone ha vinto, anzi, ha sbunnatu. Anzi, avimu sbunnatu.

Gli highlights della partita

Ora, la domanda che probabilmente ti starai facendo è questa: perchè tutto 'sto casino per una partita di calcio?
Hai ragione nel dire che quei 90 minuti non cambieranno mai la mia vita, non mi faranno vivere meglio e non gonfieranno il mio conto in banca, anzi lo gonfieranno -e di parecchio- a qualcun altro. Ti do ragione anche sul fatto che quel pallone ci ha un po' lobotomizzato, che da fastidio pensare a come una città intera si mobiliti per la sua squadra di calcio e che poi non abbia il benchè minimo ritegno per tutti i guai che l'affliggono, che non sia capace di alzare il culo e la voce per null'altro che sia diverso dal Crotone o dalla Madonna di Capocolonna.

Ma non posso darti ragione se consideri tutto questo una cosa stupida.
Prova a pensare: se domani i crotonesi si svegliassero e cominciassero a parlare della loro città con tutto quell'orgoglio?
Immagina se cominciassero a parlare di Pitagora col petto in fuori, sottolineando come magari da lui ci discendiamo pure, lontanissimamente.
Immagina se cominciassero a bussare alle porte del Comune per chiedere che finalmente venga sistemato il polo archeologico di Capo Colonna, che ce lo invidia mezzo mondo.
Immagina se cominciassero a dire ai forestieri "Venite a Crotone, che c'è tanto da vedere".
Immagina se cominciassero a spiegarti quanta forza ci vuole per andarsene lontano, a Piacenza a lavorare, a Bologna a studiare, quanta forza ci vuole a sentire di notte il rumore delle fabbriche anzichè il mare incazzato.
Immagina se cominciassero a pagare il parchimetro, a rispettare gli spazi cittadini, a dare il giusto conto al prossimo, a non cercare di saltare la fila al pronto soccorso, a non votare più chi ti chiede di farlo per lui.
Immagina se un domani, insomma, Crotone dovesse diventare un posto migliore. Non è una causa persa, credimi, e sai su che base lo dico? La speranza me l'ha data questa semplice partita di calcio, me l'hanno data gli occhi pieni di forza e di orgoglio della gente che avevo vicino lì a San Siro.
Se siamo stati capaci di farlo per la nostra squadra, non è impossibile farlo per la nostra terra.

Forza Squalo