lunedì 30 aprile 2012

Primo maggio di festa


"Primo maggio di festa oggi nel Vietnam, e forse in tutto il mondo."


Ma anche qui nel varesotto, ben lontani dal Vietnam di Lolli.
Festa del lavoro. Una festività rara, rara perchè già solo a sentire il soggetto che si festeggia scende giù un manipolo di parole da scrivere, da leggere, da dire, da pensare, da abbrustolire sul reostato di un 656.
Festa del Lavoro. In Italia. O meglio, in questa Italia.
Questa Italia di contratti a progetto, di Articoli 18 concepiti bene ma allevati male, di facimu 500 a'misata e simu pari e patti.
Questa Italia di non-contratti, di stage, co-finanziati dalla Regione o meno. Questa Italia di cu avi denti non avi pani e cu avi pani non avi denti, quella stessa Italia di quei ragazzi che vorrebbero passare il resto della propria vita a fare su e giù tra Catanzaro Lido e Catanzaro Città, macinarci i chilometri su quella cremagliera, e invece deve lottare contro non si sa manco cosa per almeno credere di poterci sperare. 
Questa Italia di sogni e lauree da 110 e lode in filosofia gettati indistintamente in un cassetto e rimpuzzoliti dall'odore di olio fritto e rifritto del McDonald's che ti permette di arrivare a fine mese, proprio tu che in quei panini potresti gettarci una vagonata di teorie kafkiane.
Questa Italia di parenti, cugini, nipoti, fratelli, amici di amici per la tangente di X alla sedicesima, questa Italia di latifondisti e forconi tacitati in breve tempo.
Questa Italia, quest'assurda Italia, dei lavoratori FIAT di Pomigliano d'Arco, Melfi e Termini Imerese, delle OMECA di Reggio Calabria, della Veolia di Crotone, della OMSA, della Pertusola di Crotone, dell'ILVA di Taranto, del petrolchimico di Gela, dei cuccettisti della Wagons Lits a Milano Centrale.
Anche di questa Italia degli imprenditori che non pagano il pizzo alle 'ndrine del posto, quest'Italia che ce la fa nonostante tutto, l'Italia delle mamme di Scampìa che riescono a crescere i propri figli lontano dalla camorra, l'Italia della Nazionale di Calcio a Rizzìconi nel campetto confiscato alla 'ndrangheta, l'Italia dei giornalisti che ancora credono nel proprio lavoro e non riescono manculicani a farlo in maniera distorta, l'Italia degli abitanti di Lampedusa e del loro spirito di solidarietà, l'Italia della testardaggine dei Garfagnini e della meticolosità degli Altoatesini, l'Italia del calore dei Calabresi e della diffidenza dei Genovesi, l'Italia di chi migliora le cose senza apporre alcun marchio politico subito appresso. 
Questa Italia che ancora prende i treni per andare da nord a sud, questa Italia che va da nord a sud indistintamente, senza farsi troppi problemi.
Questa Italia che domani forse festeggia un pò se stessa, non tanto perchè Repubblica fondata sul lavoro, ma forse semplicemente è la festa del fare. E noi Italiani, si sa...we do it better.

domenica 22 aprile 2012

Line of time [o timeline chedirsivoglia]

Quando un padre riderà,
soddisfatto del tuo cranio di bambino,
e una madre piangerà
sul mistero della sua maternità.
E la calda intimità col nulla ormai sarà finita,
sarà giunto anche per te,
il tempo della vita.


Quando l'ombra di una donna
leggerà nel tuo viso la paura,
e il suo corpo ti dirà che è notte,
il suo sorriso che è mattina,
quando la vedrai sfiorire come un albero che muore,
sarà giunto anche per te,
il tempo dell'amore.


Quando il sonno resterà
il solo amico che ti salva una giornata,
e vedrai fuggire via dalla tua casa
i resti della gioventù.
E arriverai fino a sperare che un tuo parente muoia,
sarà giunto anche per te,
il tempo della noia.


Quando i vetri di una stanza
resteranno le tue sole passeggiate,
e i figli, e i nipoti,
rideranno delle tue guance scavate.
E per scherzo giurerai di sentirti proprio forte,
sarà giunto anche per te,
il tempo della morte.


Quando dopo tutto questo,
cercherai una ragione od un pretesto,
per convincere qualcuno
che il dolore tu non l'hai vissuto invano.
E ti appagherai del senso che ti darà una religione,
sarà giunto anche per te,
il tempo dell'illusione.


[Titletrack]


mercoledì 18 aprile 2012

Le Matin

Erba e sole lucchese

Forse non valeva la pena raccontarla tutta quella storia.
Tutto il trambusto che uscì fuori quella mattina,
silenzioso come un nodo alla gola che non riesci a sciogliere in nessuna maniera.
E' strano pensare di mattina a quel sorriso,
pensarlo mentre si apre di pari passo con l'alba.
Soppiantare le tenebre, aprire una nuova finestra,
regalare di nuovo la mattina anche a chi magari non la voleva più di tanto,
al caldo delle sue coperte,
al caldo di quel sorriso così lontano e così forte.

E mentre il sole violenta i piccoli interstizi delle persiane allunghi la mano,
cercando qualcosa, qualcosa per fotografare quell'istante,
una macchina fotografica o una carta con una penna.
E' come una forza indefinita che ti prende per mano e cerca di attrarti a sè,
come il sospiro della donna amata,
come il finestrino di un treno durante la corsa.
E non è così facile come sembra resistere a quel richiamo silenzioso,
non è facile sbattere la porta in faccia ad un'altra pagina di storia.
Non è forse sorprendente tutto questo?

[formalmente ispirato da: http://www.youtube.com/watch?v=6Q71FZzZ61o]

venerdì 13 aprile 2012

Di bivi e di scelte

A modo suo è tutto un giochetto. Gestito da chi no, questo proprio non si sa.
Tutto compresso, compattato in file .rar che poi quasi in totale autonomia si autoestraggono senza manco chiederti un parere sulle loro intenzioni, portandoti la vita proprio lì, di fronte a un bivio.
Quei bivi che man mano diventano sempre più grossi: magari cominci scegliendo un pò se a calcio vuoi fare il portiere o l'attaccante, il mediano o l'ala destra, l'allenatore o il presidente. Oppure, che so, se prendere il treno o l'aereo per andare a farti una settimana a Roma.
Finchè poi non comincia a fare sul serio, chiedendoti, spaturnàta di una vita, sempre qualcosa che tu non vorresti cedere, o almeno non adesso.
Finchè un giorno non ti si presenta di nuovo davanti, quella vita, sorridente nel suo frack nuovo di pacca, chiedendoti di nuovo di scegliere.
Il sogno della tua vita o l'amore per una donna. Anzi, per lei, non una a caso, che è tutto un altro discorso.
In mezzo i chilometri, quei maledetti chilometri che ormai non so più se amare oppure odiare, un mezzo futuro che certezze non ne regala, solo intuizioni, stupide e fastidiosissime intuizioni.
Non resta che guardarsi intorno, prendere quel maledetto foglietto e scrivere cosa va bene e cosa no.
Il ticchettìo del tachigrafo Hasler o il suo sorriso.
Le mani su rubinetto del freno e manetta oppure attorno alle sue spalle.
I viaggi in trasferimento o a scoprire mezzo mondo assieme a lei.
Continui a guardarti intorno e la vedi lì, amare quell'altro, quasi non reagire quando gli chiedi di evitare l'ultimo saluto della tua (chissà, magari ultima) partenza. Ti viene da urlare come Kurt Cobain in "Where did you sleep last night", da sputare quei frammenti di quel fantomatico cuore spezzato che tanto piace alle ragazzine. Ti viene davvero da dire, da dire tanto, da abbattere muri e traforare passi del Brennero. Ma lei forse è felice così, ed amare non è forse volere la felicità di una determinata persona? E' questo che ancora oggi vorrei, in fondo, uno dei pochi, pochissimi motivi per cui davvero vale ancora la pena vivere.
Continui a guardarti intorno e ti trovi un biglietto della Calabro in un luogo quanto mai improbabile. Il 3736, sempre lui cazzarola, sempre lui da 3 anni e mezzo, che arriva strombazzando tra i neon della stazione di Crotone, puntuale, perfetto come sempre, riportandoti con fiducia a casa e scomparendo poi tra la nebbia di Torre Melissa. E la chiave della 356, sempre lì in tasca. Trovi la Ferrovia che ti mette queste cose davanti, così complottisticamente.
Forse è un pò come il cappello gettato al vento da Novecento mentre provava a scendere dal Virginia, tutto ha un senso.
E non è facile guardarla negli occhi, Sylvie, attraverso i finestrini di quella macchina. Non sapere se è un mezzo addio o solo un arrivederci, ma sapere che quel sogno, quel piccolo grande sogno, finisce lì. Sapere di volerla ancora abbracciare, volerle dire tutto quello che proprio non riusciva a uscire fuori qualche manciata di minuti prima. Sapere tante cose, e non riuscirne a spiegare manco una.
E poi girarsi di spalle e sentire il 3755 pronto a partire per Roccella, il sogno che andrà avanti, per forza di cose.

Ferrovia sarà.

martedì 10 aprile 2012

360

La luce calda del tramonto non sembra per nulla disturbare il rosso vivo di quei segnali, sornioni e silenziosi alla fine di una comunissima giornata di aprile.
Tutto calmo, tutto tranquillo.
Il volto dell'attesa su quei pochi viaggiatori, l'orologio della signorina seduta alla panchina sotto la campanella che quasi si sente in imbarazzo per quante volte viene consultato, continue occhiate verso lì, verso nord, da dove qualcosa prima o poi dovrà pur arrivare.
Intanto sull'ACEI si accendono quelle due lucette bianche.
"Ma ha bucato lungo la strada?"
"No che è a Corvo signò.."


Poi la lucetta rossa, con l'aria che resta sempre allo stesso modo, impassibile.
Poi improvvisamente scatta quel trillo assordante, e la campanella là fuori comincia a suonare.
Qualche centinaio di metri più in là un bambino starà dicendo alla mamma di essere certo di aver visto "il semaforo del treno cambiare colore", quasi a volerla convincere di aver visto un Ufo.
Quella campanella che col suo trillare imperterrito spezza quegli sguardi, spezza quell'espressione rilassata dei volti e ne imprime una puntualmente tutta diversa. A seconda di cosa significhi quel treno, quella Calabro, per ognuno di quei figuranti del genere umano che aspettano sotto quella tettoia pluridecennale.
Mentre anche un ragazzo arrivato poco prima getta la sigaretta, pestandola come si pesta uno scarafaggio, prendendosi poi un dizionario (alle 7 di sera?) in braccio, la campanella smette il suo canto impazzito.
E un altro rumore si fa avanti, qualcosa che batte continuamente, un tu-tun tu-tun, ferro su ferro.
Poi un piccolo sgorbietto spunta dalla curva a 60 km/h, con due luci quasi gialle ormai ad evidenziare il suo cammino. Quello sgorbietto che paradossalmente sembra acquisire un'espressione quasi rassegnata nel vedere che non può continuare a correre, la sua strada finisce lì e c'è poco da obiettare.
E si ferma così, forse anche un pò mestamente, sparando un pò in su i giri del motore quasi come a fare un grande respiro.
E aspetta, la 360..

Non passa molto che i suoi fanali vengano disposti per il lato dove la ferrovia continua quasi a perdita d'occhio. E verosimilmente potrebbe sentirsi d'improvviso infinitamente contenta.
Il suo Maestro intanto sale in cabina, pronto a prenderne le redini un'altra volta. Il segnale è a via libera, ultimi saluti e battute in stazione prima di tornare in città, lontani da quella tettoia ultradecennale.
Le porte si chiudono, un leggero sfrigolio annuncia l'allentamento dei freni e, dopo un paio di piccoli soffi, strani movimenti che non stai neanche lì a capire, lo strappo.
E la 360 torna a correre. Sputando fumo dalle sue marmitte, facendo gridare i suoi due motori con la grinta di un cavallo rampante. Dopo un pò si innesta la terza marcia, e pian piano si piega sulla destra per scomparire, di nuovo, tra gli alberi.
Un ultimo fischio per salutare un pò tutti, per chissà quale ennesima volta, chissà quale ennesimo arrivederci.
Ciao ciao 360..