venerdì 31 luglio 2015

Un salto a Seminara

Da Scilla l'autostrada sale con ampie curve, tra gallerie e ponti strallati, dando ogni tanto la vista dei vecchi viadotti in demolizione e del Tirreno che, visto da quell'altezza, sembra quasi una tavola di marmo solcata da minuscole formiche a forma di nave.
A Bagnara esci da quel mondo reale fatto di tabelloni e guard rail e, dopo una rotonda e un paio di sottovia, si comincia a danzare sulla vecchia Statale 18. E danzare non è per niente inappropriato, tra buche, curve con strane pendenze, auto che ti sorpassano felicemente con manovre dalla dubbia legalità.
Barritteri, paesino del paesino, quattro case e un tabaccaio, a due passi dal Monte Sant'Elia, là dove il diavolo spiccò il volo per inabissarsi dove oggi si erge lo Stromboli, là dove un piccolo bivio dà sulla ripida discesa che immette sulla stradina per Seminara.
Uliveti, uliveti, uliveti. Anzi, ulivare, ulivare, ulivare, il paesaggio si potrebbe sintetizzare così. Ogni tanto, tra un albero e l'altro, uno scorcio sulla Piana e sull'Aspromonte, cercando sempre di evitare quelle odiose buche proprio al centro della curva, agitando i piedi da un pedale all'altro per non far scappare via la macchina lungo la discesa.

La strada da Barritteri ti butta direttamente nel centro del paese, nel mondo irreale, un paio di incroci e c'è la piazza centrale.
Un grande quadrato battuto dal sole e colorato dai discorsi dei vecchietti, tutti, come fossero squadre, posizionati attorno alla loro panchina, nelle loro rughe e nelle loro camicie sudate, nelle consonanti raddoppiate, nelle vite passate e vissute.
Ogni tanto, al paese, come in ogni paese di quelli lì, incastonati tra le ulivare e lontani da ogni rotta di grande comunicazione, tornano i forestieri. Torna chi è partito, i figli o i nipoti di chi è partito, lontano o vicino, o meglio sufficientemente lontano da andarci una volta ogni tanto, sufficientemente lontano da metterti al di là della linea di demarcazione in cui si trovano i forestieri. Anzi, i ggenti 'i fora.

E può capitare che arrivi al paese per portare i fiori al cimitero dal nonno, e già che ci sei di cercare un po' di struncatura, magari quella servita ancora nella carta da pane, come una volta.
Quindi via, passi la piazza, arrivi davanti la basilica, giri a sinistra a cercare il fioraio.
E non c'è, tutto chiuso.
L'altro?
Pure quello mi pare chiuso.
E mo?
Andiamo al cimitero senza fiori, pazienza. Ma già che ci siamo chiediamo per la struncatura, tanto c'è un alimentari aperto lì accanto, con l'anziano proprietario chino a sistemare la cassetta di pomodori.
"Chiedo scusa, sapete dove possiamo trovare la struncatura?"
E niente.
"Scusi?"
E niente.
Poi esce una ragazzina, si avvicina e ci dice, con uno strano imbarazzo -quello abitudinario di chi ormai i clienti del negozio li conosce a memoria- che loro ce l'hanno, ma bisogna aspettare un'oretta finchè sua madre rientri. Bene, almeno una cosa ce l'abbiamo.
E fiorai? Sapete dove ne possiamo trovare?
Subito dopo si muove la tenda della macelleria accanto, esce un omone con una brioche gelato in mano ed il grembiule bianco ancora macchiato del sangue delle bestie.
"Signò, u fioraiu 'cca esti, mo' si 'ndi jiu"
Si affaccia dall'altro lato della strada...
"Aaaah, puru chiddu vicinu 'a farmacia esti chiusu. Vuliti ca vu chiamu u fioraiu?"
Non ricordo neanche cosa rispondemmo, sta di fatto che l'omone tirò fuori dalla tasca il telefono e chiamò.
"Ntò! Vì ca cci su genti i fora ca vannu cercandu fiuri. Po' veniri?"
Altri trenta secondi di conversazione, poi chiude il telefono e ci dice
"Signò aspettate 5 minuti ed il fioraio è qua"
Ancora spiazzati, ringraziamo ed aspettiamo. Talmente spiazzati da non capire se si riferisse al fioraio vicino a lui o a quello vicino la farmacia, 100 metri più avanti. Iniziamo quindi a vagare con poca convinzione lungo la via, tenendo d'occhio entrambe le saracinesche, aspettando che arrivi qualcuno.

A un certo punto, con noi a metà tra un negozio e l'altro, il macellaio si sbraccia e urla "Arrivau! Veniti!", mentre un furgoncino si parcheggia davanti la saracinesca vicina al macellaio. Scende un anziano, chiedendoci semmai fossimo noi quelli che lo stavamo aspettando, guardandoci con un'aria leggermente diffidente.
"Cchi fiuri vuliti?" esclama mentre ci porta 4 vasi tutti diversi tra loro. E non ci sei abituato, magari, a scegliere che fiori prendere, sai che vanno portati e basta, morta lì. Fiori per il cimitero, quello mi serve, stop.
"Senta, ma il cimitero lo troviamo aperto a quest'ora, vero?"
"Se vi devo dire una bugia, vi dico di si...è tardi".
E ti crolla il tetto di quel negozio addosso, ti tira una copanata in testa di quelle non indifferenti. Tutte quelle curve in mezzo alle ulivare, quelle beshtemmie tirate giù al ragazzino con la Golf che ti ha tagliato la strada poco dopo Marcellinara, tutte cose praticamente inutili.
"Ma i fiori a chi 'nci l'aviti purtari?"
"Lascala...non so se conoscete"
"Ah...Lascala...ma Lascala d'e signurini?"


Si, d'è signurini. Le signorine che sono le mie zie Maria e Carmela, entrambe viaggianti sul filo degli ottant'anni senza mettersi mai l'anello al dito, ancora oggi residenti nella villa di famiglia, quella Villa Rosaria che nei miei anni di mocciosaggine era un mondo da scoprire, dal giardino strapieno di piante e vasi nella classica ceramica di Seminara al vialetto che aggirava la casa finendo lì dove si radunavano sempre i gatti, dal torrente che correva accanto al cancello al burrone che dava sulla vecchia ferrovia per Sinopoli, scendendo dal quale si arrivava davanti alle due gallerie dove si andava a rifugiare l'intero paese durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

E una volta capito a che "razza" apparteniamo, e che poi tanto forestieri non siamo, ecco che il volto del fioraio cambia. Appare un primo abbozzo di serenità, e capito il problema non batte ciglio nel porgerci in un piatto d'argento la soluzione.
"Cominciate ad andare, vengo io e vi apro il cimitero, 'ccussì 'nci portati i fiuri".
Incartiamo i fiori, paghiamo e in tutta fretta andiamo verso il cimitero.
Un cimitero discreto, silenzioso, immerso anche lui nelle ulivare, lontano anche dalla provinciale per Melicuccà a cui è allacciato da una stradina ai limiti tra lo sterrato ed il terremotato. Ecco, quello si che è riposo perpetuo, e mi vengono in mente subito i poveri defunti di Lodi Vecchio, il loro cimitero, con attaccata alle mura un'industria petrolchimica ed un'autostrada poco oltre.
Arriviamo, il cancello è già aperto, da una stradina arriva il furgoncino del fioraio.
"Trasiti, faciti con comodo, tra poco arriva u' custode, tante cose!"
Tante cose, e va via quando vorresti scendere, abbracciarlo, fargli capire come nel mondo reale certe cose non si vedono, certe cose ce le eravamo scordate. Di brutto.
Una scalinata dà l'accesso ai sepolcri, e come al solito a regnare è solo il rumore delle cicale ed i brividi del vento, in quel posto dove l'eternità tende la mano alla transitorietà.
Ciao nonno, da quanto tempo. Lassù sta andando bene, tiriamo avanti, anche se già lo sai. Sono sudato, abbiamo fatto su e giù a Scilla e a Sant'Elia, non sai che scene prima di arrivare qui, quasi tornavo a casa a mani vuote, e non era cosa. Certo che dovevo preoccuparmi di venire, certo che dovevo, che non potevo rimandare. Che da Piacenza come vengo qui? Già Crotone è lontana. Come vengo a vedere quanto salde sono ancora le mie radici? Eccetera eccetera.

Poi, all'improvviso, spunta il custode.
"E' vostra la macchina grigia?"
"Si, si"
"Va bene...no perchè sono il custode, giusto per sapere, non vi preoccupate. Da dove venite? Siete suoi parenti?"
Ed è un libro che si apre, perchè nel mondo irreale tutti si conoscono, bene o male. Ed è lui a dirmi che una figlia del Dottore è a Milano, e sono io a dirgli che è mia zia, ed è lui a dirmi che suo marito lavora nelle ferrovie, e sono io a dirgli che anche io ci lavoro, ed è lui a dirmi che glie l'aveva accennato l'altra volta che aveva un nipote macchinista, e ci diciamo tante cose, scaviamo nel tempo e nel lavoro che non c'è, nel figlio che a 25 anni non trova come realizzarsi, nella Calabria martoriata, bellissima e martoriata, che non fa che soffrire e portare sofferenza, per colpa di chi non si sa, malanova m'avi.
E andiamo via, ci salutiamo cercando di quantificare con le parole la riconoscenza anche a lui, perchè non è stata una cosa qualsiasi, una cosa normale, che nel mondo reale non ci sarebbe stata.
Rientriamo. Di nuovo la strada, di nuovo il paesino, una sosta per prendere un po' di struncatura e per salutare i signurini, il loro latte di mandorla nel giardino, i ricordi, la banconota da 50 euro "cu chissa ti ccatti i caramelle", gli abbracci e il non sapere come salutarle adeguatamente.
La strada, ancora la strada, Palmi e lo svincolo dell'autostrada. E poi, il mondo reale.

Ma il problema è proprio questo, mondo reale e mondo irreale. Perchè li distinguo? Perchè Seminara è un mondo irreale, per me? Perchè la solidarietà, l'idea di una comunità che viene in soccorso di un forestiero per aiutarlo a fare ciò che vorrebbe fare, l'idea di una società fatta di persone e vissuta di persone, mi pare facciano parte di un mondo irreale? Perchè dev'essere normale, reale, l'isolamento di un'identità, il pensare solo alla propria strada, scremare le relazioni interpersonali a qualche uscita la sera, alle 8 ore di lavoro, e poco più -o meno-?
Perchè in quel mondo reale di soldi si campa e di umanità si muore?


venerdì 3 luglio 2015

Ipercoop

Grande parcheggio, uscita dedicata dalla tangenziale, un totem con 6-7 marchi che si vede da chilometri, un faro di luci variopinte nella monotonia del buio notturno. Quasi tutte le grandi città hanno da qualche parte, nella loro periferia, un qualcosa del genere. Grande, piccolo, col parcheggio coperto, 128 negozi e 2 salumerie, 3000 posti auto e 100 carrelli, sabato e domenica pieno, non trovi parcheggio, tiri una bestemmia al vecchio che viene contromano nel parcheggio.
E' un film, una pellicola che va avanti a ripetizione, quel posto li.
Frutta, verdure, affettati, carne, formaggi, cose in offerta, yogurt, birra, cereali, latte, biscotti, sugo, salse, pasta, surgelati, pagare. Entri in quel giro in cui l'altra gente sembra piazzata lì come birilli da scansare, una specie di MarioKart estrapolato dal Nintendo.
Fa impressione alzare la testa e guardare la gente all'Ipercoop. Guardare i loro occhi fissi agli scaffali o persi per aria pensando a cosa manca sulla lista, le facce spaesate dei mariti ed il passo sicuro e serafico delle mogli, i bimbi che si stropicciano gli occhi davanti al Tablo Perugina o con un pacchetto di San Carlo stretto fra le loro mani prima, fra quelle della madre mentre, sullo scaffale poi.
Cosa penseranno i commessi? Quante ce ne diranno dietro, a noi clienti? Di chi parleranno a casa?
Tutti diritti, tutti che vanno dove sanno di dover andare, sanno cosa cercare, tutti determinati, soli nella loro determinazione.
Una folla sola.