lunedì 13 febbraio 2012

356

La lentezza con cui arriva l'autunno è proverbiale. Si fa accorgere del suo arrivo solo guardando un pò quanti altri abiti hai messo sotto la solita felpa dei Green Day. I jeans li mettevi anche con i 45° in spiaggia, figurati un pò in una sera d'autunno, con un vento non propriamente gelido ma quasi, in quella città che così bene ormai hai imparato a conoscere.
E stai lì, in attesa del treno. L'ennesimo, il solito, e sempre sullo stesso tragitto. Una decina di chilometri a salire, altrettanti a scendere. Così, per passare un pomeriggio.
Un tragitto sempre uguale, appunto. Ormai ricordi anche dove e quante sono le giunzioni, quanti "tu-tu tu-tun" fa quel treno, anzi, quel trenino. Ormai sembra che la tua vita scorra sempre da lì, tanto che c'è chi inizia a credere che tu lì persino ci lavori (magar'a maronn).
Era fondamentalmente un giorno come un altro, assieme a quell'altro dipendente-non-dipendente di Francesco.
E fondamentalmente, come un giorno come un altro, si salì su quel treno, tra convenevoli pacche sulle spalle e solite affermazioni su novità di ferrovie di chissà quale altro mondo.

Dopo un pò il macchinaio sputò fuori una domanda la cui risposta volò fuori in un modo strabiliante, tutto il contrario di quell'autunno.
"Tu l'hai mai guidata 'na cosa di queste?"
"No, mai"
"Vabò, passiamo la stazione e vediamo che mi sai fare"
Mancava un minuto all'arrivo in quella determinata stazione, ma sembrò un viaggio coast-to-coast sull'ICN1910. E va bene che qualche altra volta, di straforo, avevi potuto provare a tenere tra le mani un locomotore, E636 o D214 che sia, guardando con la coda dell'occhio lo sguardo divertito del macchinista che molto probabilmente pensava "Io lo odio così tanto sto lavoro e questo pare che sta in paradiso, che gente strana 'sti appassionati". Ma quella volta tra le mani stavi per aver non un treno qualunque, stavi per avere QUEL treno, quello di cui ne parlavi con fierezza con chiunque, quello che era diventato, nonostante il suo essere un "mezzo camioncino", quasi un simbolo. Per te, per la tua ferrovia, per quelle ferrovie.

Poi, del tutto all'improvviso, "Tieni, siediti. Ti dico io cosa fare"
Un chilometro scarso senza neanche concepire cosa si stesse facendo, giusto una carezza a quel cavallo di ferro di cui, solo poco dopo, ti sei reso conto di averne tenuto le redini, anche se per pochi attimi.
Il che è una di quelle cose, un pò come gli Esami di Stato, che ti rendi conto di quanto importanti possono essere solo minuti e minuti dopo che hanno avuto termine. Indescrivibile, per quanto fuggiasco sia stato.

Sta di fatto che da quel giorno di tempo ne è passato. E siamo arrivati a sabato scorso, 11 Febbraio 2012, in una bagnatissima Lamezia Terme Centrale, in attesa del treno per tornare su a Milano. Una vita da autentico terrone, questa caratterizzata dal continuo via-vai dalla natìa terra, minimo comun denominatore degli ultimi 6 mesi. Un via-vai che, però, non prescinde dal solito giretto su e giù su quella linea ogni volta che si è in terra calabra. Questa volta saltò, e non certo per ragioni poco valide. Tuttavia ci volle poco per veder indicata sui tabelloni la soppressione dell'Intercity 724 che mi avrebbe condotto a Roma. Oltre ai comuni smadonnamenti per 50 euro buttati all'aria, me ne tornai mestamente a Catanzaro Lido, dove per "ingannare il tempo" andai di nuovo lì, in quella stazione. E quindi, dopo essermi messo a scartabellare tra i turni dei capitreno e a dare un'occhiata ai fogli di corsa per il giorno dopo, quasi istintivamente andai a prendere di nuovo quel trenino (che tanto trenino adesso non è più), ed anche stavolta "per passare il tempo".

Tornando a casa la sera, su quel Regionale 3736 che mi ha visto praticamente crescere negli ultimi 4 anni, pensai "Ma forse è perchè non mi feci il giretto che non sono potuto partire?". Sembrava destino, sembrava che non dovessi lasciare qualcosa in sospeso (mi accorsi solo dopo di non aver neanche abbracciato Silvia, condizione che mi resi necessaria per tornare a Milano dopo tutto quello che era successo).
Arrivai a casa, posai le valigie e, nell'aspettare che fosse pronto in tavola, mi misi a guardare un pò nello scatolino con vari piccoli oggetti ferroviari raccolti qua e là.
Tra loro c'era una chiave di banco, trovata per terra vicino una stazione. La presi in mano, ricordando quella giornata lì. Poi guardai bene, e su di un fianco intravidi un'incisione. Guardai meglio, ed era un numero, il numero dell'automotrice a cui apparteneva quella chiave.

356.

Era lei. Se non è questo il Destino..

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