lunedì 7 febbraio 2011

Giunzioni di rotaia


E' diverso.
E' inutile andare a cercare tra mille teorie, duemila coincidenze e qualche accenno di pazzia.
Perchè c'è qualcosa, lì dentro, che in qualche modo si muove ed alla fine ti fa venire voglia di muoverti, di fare qualcosa, o più semplicemente di assaporarne quel movimento che porta lontano.


Oltre i cippi chilometrici, i limiti di velocità, i segnali di prima categoria, oltre ogni cosa. Oltre la storia stessa se vogliamo, oltre geografie, religioni e mondi che non sanno disegnarsi a vicenda.
Porta lontano, per questo è stato destinato fin dalla nascita a correre per rendere più brevi le distanze che l'Uomo, suo inventore e come suo inventore affezionato a lui come un padre con un figlio, prima trovava troppo lunghe.


Sfilando tra le scogliere della Cornovaglia, col fumo bianco che si leva a 130 chilometri all'ora, oppure scandendo il blando ritmo delle montagne della Sila a colpi di vapore.
Non intende fermarsi neanche là dove la natura stessa sembrerebbe sbarrargli la strada, arrampicandosi silenzioso con un arto in più ma con la stessa voglia di non fermarsi. Mai.


Gli aggettivi su di lui si perdono. Aggettivi negativi spesso e volentieri, ma in fondo l'indole umana non ha mai neanche lontanamente assaporato il gusto della riconoscenza. Guardate i bambini - e la loro sincerità - accanto alla ferrovia, guardateli quando sentono vibrare i binari e fischiare quel bestione, lento o veloce che sia, e poi venitemi a raccontare la loro reazione.


La Ferrovia in formato famiglia, l'esperienza umana tramandata geneticamente che insegna ad ammirare quella macchina che molti anni fa, tra le verdi colline inglesi, fece sognare un mondo intero. E' storia, e non ci si può fare niente. E' Vita in un certo qual modo, è vita perchè è uno dei pochi posti in cui si può conoscere qualcosa di diverso.


L'odore delle traversine, il rumore della campanella prima dell'arrivo del treno o quello del pietrisco nell'attraversare i binari, il loro luccicare al buio, le luci rosse dei segnali, i lampioncini al neon che illuminano l'aria di una luce introvabile altrove, il placido rumore della fontanella, le rimesse locomotive che sembrano volerti raccontare di quando erano quasi intossicate dal vapore, le colonne idriche ormai rassegnate al loro destino.


Poi il treno, che silenziosamente arriva tastando con forza le giunzioni e producendo quell'inconfondibile rumore. L'arrivo, con i viaggiatori che riprendono la loro vita dopo essere stati cullati per qualche minuto. Lo sguardo quasi compiaciuto del capostazione, contento di aver potuto accogliere puntuale l'ennesimo treno, e quello del macchinista, in perfetto orario e, forse, consapevole di aver portato con sè non solo un carico di vite umane, ma anche un carico di storie. Piccole o grandi che siano.

E' un treno, nulla di più.



2 commenti:

  1. Più passa il tempo e sempre meno vedo Parkman come macchinista FC e sempre più come poeta cronista .... delle vite che scorrono sui binari.

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