Silenzio, finto silenzio, i ferrovieri che seguono Cosenza-Perugia e viaggiatori, finti o veri che siano, a consumare fette della propria vita tra quei marciapiedi secolari, quei marciapiedi che hanno un nome. Valigie ad assisterli, ad accompagnarli in questo tempo che vola come un gabbiano impaurito e voglioso di libertà, in questo spicchio di mondo che da quel tempo dipende come pochi altri.
Le luci rosse dei segnali, sornioni a riflettersi sui binari, lucidi, come sempre. I fili della catenaria che si stagliano tra le ultime luci del giorno, filo spinato verso quel cielo che a noi umani non è permesso. Almeno in teoria.
Rumore di ingranaggi e frizioni, si risveglia la piccola automotrice sul secondo binario. Treno 3757 per Crotone, ultimo della giornata, poi tutti a nanna.
I non luoghi, le stazioni. Quei posti fatti solo per transitare, sgattaiolare tra una partenza e una destinazione, monumentali o meno che siano. Un nome, una progressiva chilometrica, un numero di posto di blocco, non un luogo. Forse è riduttivo chiamarli luoghi, non si sa, forse è dispregiativo, o forse è un misero complimento. Non sono luoghi fatti per restare, le stazioni. Sono luoghi per scappare, non importa da cosa, basta salire sul primo treno e scappare. Sono luoghi per scegliere, scegliere quale diramazione impegnare, quale carta giocare. Sono luoghi per pensare, per piangere un amore appena scoperto o per andarlo a cercare, 1033 chilometri più a sud. Sono luoghi per andare via, per due settimane, per un mese o per tutta la vita. Dalla vita.
Giustamente, come fai a considerare un luogo qualcosa del genere? Sarebbe un po' come chiamare un film "serie in rapida successione di fotografie", se mi è permessa questa freddura.
Della vita forse non ci ho capito molto, ma ciò che è certo è che si viaggia a binario unico.
And who wants to understand, understands!
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