giovedì 22 settembre 2016

Dio salvi la Reggina

Partivamo di prima mattina, di domenica, quando l'aria ha quel sapore di vaniglia e le uniche auto che incroci sono quelle di chi torna dalla discoteca con la camicia bianca sudata e strappata. Montegiordano, Roseto, Trebisacce, mentre si facevano le 9 e il sole non dava piú fastidio agli occhi. Sibari, Spezzano, l'autostrada, la sosta all'autogrill e i palazzoni di quella Cosenza che mi sembrava chissá che metropoli, poi lo slalom fino al mare che spuntava all'improvviso poco dopo San Mango, Lamezia, Pizzo e quel ponte in curva a strapiombo sul mare, le due ferrovie che poco prima quasi si incrociano, il porto di Vibo e poi le colline fino a Rosarno, gli agrumeti, la vibrazione interiore della distanza che si affievolisce. L'uscita di Palmi, l'indicazione per Seminara, le nostre radici che cercano di fare presa nel paesino che sorvoliamo con l'autostrada poco dopo, e poi lo Sfalassà, e il Pilone, la Sicilia e, un attimo sotto, Villa. L'uscita a Gallico, in piazza Posta per andare a pranzo 'ddu u ziu Gilbertu, dai cugini Nino, Giusy e Sara, magari ci sono pure le zie, alias i' signurini (se mi leggete ogni tanto capirete).
"Belardi e Bonazzoli". Rispondevo cosí, in ordine di importanza, quando mi chiedevano chi fossero i miei preferiti. Poi Tedesco, i due Ciccio, Cozza e Modesto (che, anni dopo, mi regalerá la gioia calcistica piú grande), Mozart e Paredes, piú avanti Biondini e Missiroli.
All'una e mezza andavamo via, "Dio salvi la Reggina" esclamava sorridente zio, sfruttando la mia scarsa resistenza al ridere ai piú scontati dei giochi di parole, mentre ci accompagnava al cancello di casa.
Del pezzo di autostrada tra Gallico e Reggio ricordo la Panda cabriolet con una enorme bandiera amaranto che usciva fuori dal tettuccio, l'Ape con due persone con la maglia di Nakamura sul cassone, le buche, il profumo di mare, l'imponenza dell'Etna li in fondo, la misteriositá della Sicilia li accanto.

La curva Sud in un Reggina-Roma - foto dal web
Sfilavamo per il lungomare, poi per qualche centinaio di metri lungo l'argine del Calopinace, quindi a destra sul lungo viale che porta all'aeroporto, trovando sempre posto in un enorme piazzale di fronte ad un palasport. Si vedeva giá la copertura della tribuna centrale svettare sopra le case, ed un primo brivido scendeva giú per la schiena. Un brivido, a me che da piccolo il calcio manco piaceva, io che lo consideravo uno sport come gli altri. Consideravo, appunto.
Le bancarelle, l'odore melmoso dei paninari, "dduj sciarpi deci euru", la via che portava allo stadio piena zeppa di gente, "papà i biglietti li hai?", l'ombra di dubbio, il sole dell'entusiasmo.
Arrivavamo nel piazzale e gli angoli non coperti dalle tribune lasciavano passare suoni e colori che ti attraevano come una calamita, ti mettevano una fretta cagna, 'iamu, trasimu. A volte andando verso gli ingressi incrociavamo i due bus di Tripodi che portavano le squadre, fermandoci in attesa che scendessero i giocatori, quegli esseri sovrumani che sembrava esistessero solo in televisione. Ricordo i gemelli Filippini che mi passarono a pochi metri, lo sguardo da ebete di Nakamura e quello manesco di Soviero, Mazzarri ca on sapiva mancu cu era, il sigaro consumato di Lillo Foti, Luciano Zauri di cui avevo mille figurine.

Shunsuke Nakamura
Ed una volta passati i cancelli (i tornelli erano robe da aeroporto ancora) e salite le scale, il campo, il campo e quell'aria tesa di incertezza che lo ricopriva. Prendevamo posto in tribuna, anzi una volta in curva, due nei distinti (Juve 2004 e, soprattutto, quell'indimenticabile 27 Maggio 2007 contro il Milan), seguivamo il riscaldamento cercando di capire chi dei nostri avrebbe giocato o di riconoscere al volo i campioni della squadra avversaria. E a pensarci...Ibrahimovic, Del Piero, Cafu, Ronaldo, Gattuso, forse pure Rivaldo, Cannavaro, Zanetti, tutti li su quel campo che sembrava dovesse ospitarli in eterno. 
Lo racconterò a mio figlio, semmai un giorno dovesse interessargli, che suo padre, ancor prima di perdere testa e voce per quel gol di Budimir a San Siro, ha visto Ronaldo giocare a Reggio Calabria, col mare dello Stretto di sfondo. Si, quel Ronaldo, quello li, forse il piú forte di tutti, lo ha visto con i suoi occhi fare un doppio passo su Aronica e scappare sulla fascia destra, anche quando ormai era solo una brutta e riccioluta copia dell'originale.

Salvatore Aronica, Ronaldo e Andrea Campagnolo in Reggina-Milan - Foto dal web
Juri Cannarsa osserva Zlatan Ibrahimovic in rovesciata durante un Reggina-Juventus - Foto dal web
Sono passati nove anni da quella partita, ci sono voluti un incrocio ed una strada sbagliata per riportarmi davanti a quello stadio, per riportarmi davanti agli occhi alcuni di quei momenti che il tempo non è riuscito e non riuscirá a cancellare, per riportarmi davanti al cuore la nostalgia di quell'aurea magica che copriva quelle quattro tribune strette tra il mare e l'Aspromonte. 
Non ho potuto fare a meno di accostare e scendere. Lo stadio quella mattina era aperto, la Reggina appena tornata tra i professionisti si stava allenando sotto un sole cocente. Sarei entrato volentieri, anche solo per sedermi cinque minuti su quella tribuna, ma senza tempo a disposizione, giá appoggiare le mani a quelle inferriate rese fresche dall'ombra dei salici è stata una bella riconciliazione.

Il Granillo, quella mattina di settembre..
Ma tutto questo è passato, tutto questo è nostalgia, bellissima nostalgia.
E ora?
E ora...
tan tata tananana tan tata tanana tan tata tananana tan tata...o meglio: 


mercoledì 14 settembre 2016

Vos et ipsam civitatem benedicimus

U vulissa capire nu sicilianu quannu 'nchiana supra u ponti, s'assitta, u ventu 'nci sparpaglìa i capiddi, u sali 'nci 'mpacchia, l'adduri d'a nafta ca saglia 'ppi tuttu u traghettu.

U vulissa vidiri pi intra, quannu chiudunu 'a celata e u traghettu comincia a ssi moviri, quannu Messina passa davanti all'occhi, lenta, comu quannu ti strappi i pili d'u vrazzu cu nu cerottu e u tiri chianu chianu, tantu chianu ca u duluri u senti parti pi parti, vota pe vota, pilu ppi pilu.

Ti vulissa vidiri, anzi ti vitti, cumpari sicilianu, quannu passi 'a Madonnina e trasi pe mmari.
"Vos et ipsam civitatem benedicimus", pi ttia cchi rappresenta? Pi ttia ca, cu na manu subba a balaustra, ripeti in silenzio chiri paroli mentri na goccia d'acqua ti scinna i l'occhi e si jetta a mari.

Cumpari sicilianu, amicu meu, ma iu sulu stràmmu a vidiri chira madonnina? Cumpà, ma com'è sapiri ca chira statua, e sulu chira statua, e sulu chiru mari, chiru pezzareddru i mari, ti dicia ca a terra tò finiscia? Ca subba a spiaggia ca vidi ddrocu avanti, a Villa, sì già nu foresteru?
Cioè, 'on ti pò capitari com'e mmia i essiri distrattu e 'on vidiri o cartellu a Nova Siri, fine Calabria inizio Basilicata, o non ti po' capitari ca è scuru e, da che partisti co' trenu da Scalea ti trovi a na vota a Sapri. Ecco, compà, 'on poi dire "Ormai siamo passati", 'on poi tirarti a' ceretta ccussì, zac, tutta a na vota, tu te l'ha soffriri a forza chiru confini, chiru mari e chiru ventu t'annu accultellari a forza. O dicu strunzati?


Vos et ipsam migrantium benedicimus.