lunedì 21 maggio 2012

Mi 'ndignavi

Questo è uno di quei periodi in cui si può parlare in quantità, e di tante cose. Più che delle cose che accadono, di ciò che esse stesse provocano in mezzo Stivale.
Che a pensarci, cazzarola, a tutto questo trambusto ci dovrebbe essere abituato, tra morti sul lavoro, morti ammazzati di 'ndrangheta, morti di crisi, zanzare che cominciano ad impestare i muri di casa. Eppure no, sempre sgomento, tanto sgomento, sgomento senza soluzione di continuità. Perchè noi Italiani siamo strani. Ci prendiamo e ci stringiamo al petto quell'Italians do it better figlio di chissà quale trovata pubblicitaria ma poi non ci indignamo minimamente se un terremoto rade al suolo mezza Emilia Romagna e il Governo non stanzia più fondi per la ricostruzione, dato che le case dovranno essere coperte da regolare polizza assicurativa con compagnie private di assicurazione.
Mostriamo sgomento, ma un attimo dopo siamo su Facebook a condividere link su Melissa. Perchè ormai il senso della tragedia dell'italiano è diventato questo: accade qualcosa? Metti su un link. Una tua amica viene investita davanti scuola? Che magari non è manco amica tua ma solo qualcuno che tieni tra gli amici così per caso? Và scrivaci "tesoro mio riprenditi presto" sulla bacheca, fujendu, che sennò sembra brutto.
Mostriamo sgomento per Brindisi, e scendiamo in piazza contro la violenza e contro questi quattro cretini che giocano a fare Dio. Ma mi sembra una scena già vista, tante e tante volte, alla quale alla lunga sono diventato insensibile, anzi, quasi repellente. Ho provato dolore, e tanto, per quella ragazza, ma allo stesso momento sono rimasto sdegnato dall'ennesimo esempio di sciacallaggio in piena regola montato attorno alla cosa, dal voler assolutamente riprendere la minima lacrima del padre all'assurdo gesto del TgCom (anche se è roba Mediaset, che ci si può aspettare da gente così ridicola?) di mettere in rete, open-source, foto e filmati di quella ragazza quando era piccola e immagini della sua cameretta, come se ve ne fosse davvero un'utilità sociale da perseguire.
Poi bruciano il Cartella a Reggio Calabria, e quasi nessuno ne parla. Nessuno parla di come quel centro sociale è venuto fuori, di come andava avanti con le proprie mani e del bene che portava ad un territorio notoriamente difficile come il nostro. Bruciato da apparenti fascisti, ma in Calabria la forza che davvero si oppone al miglioramento sappiamo tutti qual'è, quindi non è neanche tanto difficile pensare che si sia trattato di bassa manovalanza 'ndranghetista, anche se il livello di ottusaggine mentale è paragonabile a quello di chi fascista è per moda, di chi lo è solo per potersi sentire autorizzato da un'ideologia così stupida ed insulsa a fare nere nere le persone (cit.). E nessuno presenta sgomento, a Reggio si sono messi subito a lavorare per ricostruirlo, senza fare neanche tanta caciara. Ma nessuno ne parla e ne parlerà a prescindere, perchè in Calabria le cose se non vanno male devono farlo. Per forza, per legge.

Megghiu ma dormimu.

martedì 8 maggio 2012

Salut Gilles!

Mettiamola così: 30 anni fa ci provò di nuovo.
Provò a fare ciò che gli altri non facevano, e a ragione. In fondo aveva poco senso continuare a correre come un matto anche nel giro di rientro, quel giro a cronometri fermi e che ti serve fondamentalmente per prendere e rilassarti un attimo dopo aver cercato come un pazzo il miglior tempo. Un miglior tempo che allo stesso tempo non gli serviva a niente, era l'ultimo giro di quelle stupide e solitare prove del venerdì. Quando mai i tempi delle prove del venerdì hanno contato qualcosa?
Ma lui no, lui doveva fare quell'ultimo giro al massimo. Così, per sfizio, per farla pagare a Pironi. Ostinato come un divertente diavolo sconfitto.
Lui doveva fare tutto al massimo, senza stare a guardare il resto.


Se ne accorse il buon vecchio Enzo, lui sì che di piloti (no, non quelli di oggi, i piloti quelli veri, da Jim Clark a Mario Andretti, da Niki Lauda ad Ayrton Senna) ne capiva.
Veniva dalle motoslitte, Villeneuve (e trovatemi un altro che sia uscito fuori da lì). Catapultato dalle pianure innevate canadesi ai circuiti più o meno tortuosi della Formula 1, dove però subito si fece vedere. Certo, inizialmente tutti quei testacoda, quei tamponamenti, quegli incidenti forse un pò stupidotti non erano il massimo, ma bastò il 1979, quell'assurdità degli ultimi tre giri del Gran Premio di Francia a Dijon, per capire chi si aveva davanti. E poi Montecarlo e Jarama 1981, il traguardo raggiunto a Silverstone con la macchina distrutta o il mezzo giro a Zandvoort 1979 senza una gomma posteriore, altre prove schiaccianti di come lui fosse uno dei pochi la cui bravura andava oltre le possibilità dell'automobile, se non l'unico quasi. Un rapporto fra lui e la sua Ferrari che sembrava essere non di amore, non di stima, sembrava bensì che si trattasse di un'unica entità, che le sue mani sul volante non fossero altro che un'illusione ottica.
"Amare l'Automobile era la prima qualità, la prima dote che io dovevo scoprire nel mio interlocutore prima di assumerlo." Così diceva Enzo, e forse anche per questo Gilles divenne quasi come suo figlio.


Lui ci provava, senza tanti fronzoli. A volte non gli riusciva, come uno scommettitore statisticamente perde più volte rispetto a quante ne vince, a volte invece si. E quando ci riusciva era come assistere ad un miracolo, all'incarnazione del Dio della Velocità, una sorta di apparizione alla Medjugorje. Nessuno lo capiva, nessuno capiva perchè dietro quel viso e quell'atteggiamento di un uomo così mite, così umile, si nascondesse un simile predatore dell'asfalto.
A Zolder, l'8 Maggio 1982, provò di nuovo a volare via. E quella volta ci riuscì, lasciando tutti con il fiato sospeso per un'ultima volta, portando via con sè forse l'ultima Formula 1 fatta di uomini e carburatori nel vero senso della parola. Chissà oggi quanti sorpassi da chiunque inaspettati staranno esaltando il pubblico di lassù, chissà quanti ultimi tre giri a Dijon con Senna sta mettendo su. Chissà quale altra sorpresa ci regalerà domani, l'Aviatore.

"E' bello sapere che siamo delle bestie imperfette,
e un poco del meglio che forse possiamo fare
è baciare le ragazze e poi, e poi tenerle strette,
e poi amare molto Villeneuve,
e imparare a guidare.."


(Villeneuve, Claudio Lolli)


Salut Gilles!

sabato 5 maggio 2012

A' sicaretta

Scrivere per certi versi è come fumare.
Se ti prende la voglia, è difficile cacciartela dalla testa.
E' una voglia che non guarda orologi, date, programmi e sveglie impostate per il giorno dopo.
Ti nasce così dal nulla, senza chiedersi se sia nato prima l'uovo o la gallina.
Scrivere per riscatto, scrivere per memorizzare, scrivere per fotografare, scrivere per dimenticare,
una sorta di anestesia per mandare tutto in corto e mettere le cose in ordine.
Da capo, come prima, meglio di prima.
Non conta come, se su una tastiera di un computer o su una Moleskine riposta sempre nella stessa tasca della tracolla, su un tovagliolo raccattato al bar della stazione di Perugia Sant'Anna o su qualche foglio svolazzante qua e là. Una penna a corredo e siamo apposto. Senza una metrica precisa, senza architettare il tutto, magari solo un pò, ma giusto per mera formalità.
E quindi spegnere i propri pensieri, allontanarli, aprendo quell'agendina alla prima pagina disponibile e gettare giù due cosette così. Stesso effetto di una sigaretta, con la differenza che però puoi farlo anche comodamente seduto su una carrozza di prima classe declassata in composizione al 20342 per Luino, 18.52 da Garibaldi e via di codice 180 fisso da Parabiàgo a Gallarate. Solita divagazione closer-to-railmans, ma altrimenti potrebbe pur sembrare roba scopiazzata da qualche libro dimenticato in qualche biblioteca meneghina.
4-5 minuti, o 30, o 60, o tutto un viaggio. Il tempo di trovare le parole, accumularle e poi via, liberarle come le pecore nei pascoli del Kent, fino ad esaurimento scorte.
E come le pecore nei pascoli del Kent cercare di seguirle, di dare un senso a tutto quel loro muoversi all'impazzata, a quel continuo inseguirsi senza mai un preciso obiettivo, consci del fatto che il punto finale prima o poi arriverà, necessariamente o meno.

You were stolen,
as black across the sun.
Tramonti viterbesi